Robe da chiodi

Bacon, diecimila marchi per Cimabue

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Mai restare prigionieri degli schemi. Lo insegna questa scoperta fatta da un’amica fiorentina, Maria Luisa Ugolotti, architetto, appassionata di quel gigante del Novecento che è stato Francis Bacon. A Bacon nessuno ha mai negato la grandezza, ma di fatto lo si è sempre confinato nell’angolo delle “bestie rare”, degli artisti esagerati: altri sarebbero quelli che hanno tracciato le linee portanti dell’arte del Novecento. In realtà Bacon è stato un gigante consapevole come nessun altro in quel secolo di stare sulle spalle di altri giganti. Ne è testimonianza la sua riflessione ossessiva su uno dei più grandi ritratti della storia, l‘Innocenzo X di Velazquez, il suo amore per Michelangelo e per Van Gogh. Ma tra i “debiti” che Bacon sentiva di avere c’è soprattutto quello con Cimabue: il che la dice lunga sulla frettolosità con cui lo si liquida come artista blasfemo. Si sapeva che Bacon teneva nel suo studio la riproduzione del Crocifisso di Arezzo. Che lo teneva capovolto, perché vedeva lì un punto genetico per la propria arte (come ha detto Michel Pepiatt, grande studioso di Bacon, era «la sua armatura, il suo puntello»). Ora sappiamo, grazie alla tenacia della Ugolotti, che Bacon andò anche oltre in questo suo amore:  all’indomani dell’alluvione di Firenze del 1966 fece una grande donazione per il restauro dell’altro capolavoro di Cimabue rimasto drammaticamente danneggiato dal disastro: il Crocifisso di Santa Croce. La Ugolotti ha scoperto 27 giugno 1967 Bacon con un telegramma comunicò agli organizzatori del prestigioso premio Rubens, a Siegen, in Germania, che avrebbe devoluto l’importo del premio a quello scopo. Era un cifra, per gli anni  non indifferente: 10.000 marchi tedeschi corrispondenti a un valore in lire di circa 1.513.000. La Ugolotti è andata a vedere sul Corriere della Sera l’entità delle donazioni dei privati per avere un rapporto e ha verificato che le somme anche di personaggi famosi non andavano mai oltre le 10mila lire.

Questo sì che era vero amore. Come diceva un personaggio che mi è molto caro, le intese nascoste sono le intese più profonde…

Written by giuseppefrangi

Novembre 26th, 2009 at 8:05 pm

2 Responses to 'Bacon, diecimila marchi per Cimabue'

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  1. Volevo solo dire di due cose che mi hanno fatto riflettere sul rapporto tra Bacon e Hockney. Li sto scoprendo ultimamente più vicini di quello che sembra; entrambi sul crinale tra equilibrio e caos.

    Primo. Ho trovato ora per caso il quadro “Jet Water” di Bacon (1988), mi è scattato qualcosa. Sono andata a ripescare “A Bigger Splash” di Hockney (1967). Non fanno riflettere, a guardarli insieme?

    Secondo. Hockney cita in un’intervista Bacon che aveva detto: “Sono ottimista sul nulla”, sottolineando che usa la parola “ottimista”, mentre avrebbe anche potuto dire di essere pessimista sul nulla. L’espressione è una forza positiva di per sè; ma non molti l’avrebbero capito parlando di Bacon.

    Forse sto scoprendo l’acqua calda, dimmi cosa ne pensi.

    Beatrice

    27 Feb 10 at 11:00 pm

  2. Mi sembra un spunto molto pertinente. Per decifrare bacon tutti finiscono in una sorta di buco nero intellettuale. Invece lo si capisce meglio tenendosene fuori, come fa Hockney. Se ci si impasta troppo con un artista alla fine invece di caprilo se ne restituisce solo un’inutile eco. Invece Hocney da fuori coglie l’aspetto vero. Cioé l’energia positiva che fa essere Bacon, che lo fa essere lucido. Che lo fa essere anche freddo davanti alla tela. Grazie per lo spunto.

    giuseppefrangi

    28 Feb 10 at 11:04 pm

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