Robe da chiodi

Testori a Visconti: “Quel Rocco è troppo gesù”

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Alain Delon in Rocco e i suoi fratelli

Presentazione dei Segreti di Milano al Castello, per Bookcity (pienone di pubblico). Con me Mauro Giori, bravissimo studioso di cinema, autore di due libri su Visconti, di cui uno su Rocco e i suoi fratelli. Per realizzarlo ha studiato tutti i copioni conservati alla Fondazione Gramsci di Roma. Ce n’è uno anche annotato da Testori, a cui era stato chiesto di sistemare i dialoghi in milanese (il film è tratto dal suo Ponte della Ghisolfa). Lui non si limita a quello e annota ai margini alcune considerazioni. Non gli gira il profilo del protagonista, Rocco Parodi (lo avrebbe interpretto Alain Delon). Dice che è troppo angelico, che sembra non vero. Non lo si vede mai fare cose normali, come mangiare, perdere la pazienza… Ad un certo punto annota: «Deve essere più crapone e meno gesù cristo (in minuscolo)». Giori spiega che Visconti non l’ascolta perché lui aveva in testa un Rocco stile principe Myskin dell’Idiota di Dostoevskij. Altra annotazione sulla scena celebre dell’incontro sul tetto del Duomo tra Delon e Girardot: Testori non voleva il Duomo. Non centrava con quella sua Milano.

Quale fosse la sua Milano è ben chiaro. Una città con una cintura vitale esterna e un grande buco al centro, da sorvolare (sarebbe diventato nucleo dell’apocalisse nel Testori tardo). Notavo nella presentazione, che nel momento in cui T. scriveva i Segreti di Milano, alle spalle di via Mac Mahon già c’era il complesso case Mangiagalli Iacp di Gardella Albini (1953) e nel cuore di Vialba, in via Orsini, la Casa per lavoratori Incis, queste firmate solo da Franco Albini. Case meravigliosamente milanesi, per quella capacità di essere popolari e non massificanti. Quella di Vialba in particolare, con la pianta a “J” e i ballatoi che tagliano il grande angolo, reinterpretazione del tema delle case a ringhiera. Sono case in cui il fattore della relazione tra chi abita è ancora un fattore architettonicamente rilevante. Come nella narrativa di Testori, le case sono palcoscenici che tengono un lato sempre aperto, così le case di Albini tessono dialoghi continui tra chi le abita. Non appartamenti (nel senso etimologico) ma luoghi di continue contiguità.

Written by gfrangi

Novembre 19th, 2012 at 7:03 am

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