Robe da chiodi

De Chirico a Ferrara, la mostra perfetta

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Vista mostra De Chirico a Ferrara. Decisamente la mostra più forte vista negli ultimi mesi (curata da Paolo Baldacci, 128mila visitatori, catalogo esaurito). È il De Chirico raccolto nei tre anni cruciali tra 1915 e 1918, gli anni di Ferrara, della chiamata in Guerra, del ricovero per crisi nervosa nell’ospedale di Villa del Seminario. Anni di un’intensità davvero pazzesca. Quello che colpisce non è tanto l’affastellarsi di contenuti enigmatici dentro la tela, ma è l’organizzazione formale che De Chirico fa di questo suo percorso che è totalmente mentale. Il quadro si presenta come una piccola macchina perfetta che rompe ogni regola logica, che fa saltare ogni prospettiva temporale (storia e fantascienza vanno a braccetto). I quadri di questi anni sono come composizioni assediate da una perfezione che non fa più riferimento a nessun canone. Si prendono il massimo delle libertà possibili, permettendosi di far saltare ogni logica (la non interpretabilità dei suoi quadri è proverbiale: inutile le operazione di decriptazione come invece avviene con la “pittura rebus” di Magritte). Ma allo stesso tempo sono quadri “obbligati” da una grammatica interna che si intuisce rigorosissima. La scelta delle opere è straordinaria per qualità. Non ce n’è una in cui la tensione si allenti, in cui s’avverta il senso di una ricerca, di un laboratorio in fieri. Il De Chirico di quegli anni è un artista approdato, compiuto nel più piccolo dettaglio. Si capisce perché per tutta la vita abbia poi rifatto se stesso. Non poteva fare altro…
De Chirico è pittura che si fa discorso sulla pittura. È pittura mette a tema la fine della pittura, disarticolando i contenuti. E organizzando forme mai viste che sono state liberate da ogni contenuto del passato (per quanto faccia incetta di mitologia e di storia). De Chirico non è futurista, è tutto futuribile… Uno che apre alla pop art, a Frank Stella, anche a Kubrick, nella sua dicotomia tra spazi senza fine e spazi claustrofobici
In tutto questo si capisce quanto gli sia servita il contesto urbano di Ferrara, città di “addizioni”, e quanto il riferimento alla disarticolazione formale che segue alla disarticolazione iconografica dei grandi ferraresi di Palazzo Schifanoia.
Mi sono annotato queste due frasi straordinarie di De Chirico, lette sui muri (la mostra è ben fatta anche nei dettagli: perfette anche le schede di presentazione delle singole sale).
A Papini, 1916: «Vedrai cose nuove per lo spirito e la forma: profonde, solide me leggere nel tempo stesso; immaginazioni mi vennero “sur les pattes de colombe”, un giorno di sole e di mercato in una piazza di Ferrara».
Febbraio 1919: «L’atelier del metafisico ha dell’osservatorio astronomico, dell’ufficio di intendenza di finanza, della cabina si portolano. Ogni inutilità è soppressa; troneggiano invece certi oggetti che la scempiaggine universale relega tra le inutilità. Poche cose. Quei quadretti e quelle assicelle che all’artefice bastano per costruire l’opera perfetta».

Nell’immagine, Giorgio de Chirico, Interno metafisico (con grande officina), 1916 (Stoccarda, Staatsgalerie)

Written by gfrangi

Febbraio 28th, 2016 at 8:11 am

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