Robe da chiodi

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Medardo Rosso, il senso di quegli ultimi 20 anni

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Medardo Rosso, Femme à la voilette and Bambina ridente, nella casa di  Etha Fles, c. 1901

Medardo Rosso, Femme à la voilette and Bambina ridente nella casa di Etha Fles, forografia, c. 1901

Vista la mostra di Medardo Rosso alla Galleria d’arte moderna di Milano. È una mostra piccola per un autore su cui Milano avrebbe potuto dire qualcosa di nuovo e di più. Invece è una mostra troppo normale, oltretutto assai meno completa di quella fatta al Mart nel 2004, a causa anche degli spazi espositivi esigui. Ma a parte questo, poteva essere l’occasione per un approccio nuovo a Medardo: capire il senso di quegli ultimi vent’anni in cui smette di essere scultore e che sono sempre stati liquidati con la battuta di Carrà: «l’empito del creare si era in lui spento in seguito a una terribile caduta dal tram». Soluzione semplicistica per un ventennio in cui Rosso non era affatto stato come le mani in mano. Aveva invece elaborato precise strategie che riguardavano la sua opera passata, il modo di presentarla, di “vederla”, persino di concepirla. È un lavoro alla radice del suo lavoro storico quello che Rosso fa negli ultimi anni della sua vita. Lavora sulla percezione della scultura, sulle associazioni di immagini, su elaborazioni che hanno tutta l’aria di essere di carattere concettuale del proprio lavoro.
Il tema è quello che riguarda la fotografia a cui Rosso rivolge un’attenzione sistematica e sperimentale dopo aver visto all’opera Edgard Degas. Sono centinaia di stampe e negativi, nessuno mai di routine, ma tutti tentativi di affrontare lo sguardo sulla scultura, di caprine le implicazioni, le relazioni, le associazioni.
Le fotografie in effetti sono ben rappresentate in mostra, ma sarebbe stato interessante mostrarle in relazione alle opere, perché il percorso fatto con le foto non è un appendice, forse è esito, l’esito a cui Rosso davvero mirava.
Per dirla tutta, il Rosso scultore, per bello e sperimentale che sia, è uno scultore ancora dentro un orizzonte di naturalismo, e per quanto sia ammaliatrice e anticipatrice la sua Madame X è ancora lontana dalla radicale semplificazione della Musa dormiente di Brancusi. Rosso vive la difficoltà che la scultura vive in questo passaggio di storia. Ci prova Degas a forzare, ma anche a lui la scommessa riesce in modo ben più decisivo con i pastelli. La scultura il suo scatto lo farà più avanti con Boccioni, con Brancusi appunto.
Rosso forse ha chiara questa percezione e per questo negli ultimi anni della sua vita lavora per trovare il punto di forzatura, di uscita da quell’impasse che teneva la scultura ostaggio di una visione non abbastanza moderna. Il bel libro di Paola Mola uscito nel 2006 “Rosso, trasferimenti” documenta con grande dettagli le operazioni che lo scultore fa attraverso le fotografie sulle sue sculture. Scrive: «Rosso abbandona la natura e l’invasivo apparire delle cose, e rivolge all’immagine e alla sua materia fisica ogni sua attenzione sperimentale». Resta, scrive Paola Mola, come esito del percorso di Rosso, «il pensiero di un’immagine».

Madame X, 1898

Madame X, 1898

Madame X fotografata da Rosso nel 1911

Madame X fotografata da Rosso nel 1911

Written by gfrangi

Marzo 1st, 2015 at 11:49 pm

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San Valentino con i baci di Brancusi

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Un pensiero verso San Valentino. Assodato che il più bel bacio nella storia dell’arte è indiscutibilmente quello tra Anna e Gioacchino sotto la porta d’oro, nella Cappella degli Scrovegni di Giotto, si può provare ad allargare lo sguardo. Ci si accorge come gran parte dei baci (d’amore, ovviamente) sono concepiti come baci che preludono a una separazione, a una partenza. Quindi hanno dentro una quota irriducibile di tristezza, che a volte si connota di patologico (Munch, Rodin, Klimt, lo stesso Hayez). Ci sono anche baci che si smarcano da questo trend. Ho in mente quello cannibalesco di Picasso. Ma soprattutto mi è capitata sotto gli occhi in questi giorni una versione bellissima del Bacio di Brancusi (la propone il Mart per San Valentino). Brancusi ne realizzò parecchie versioni tra 1907 e 1909. La più nota è quella di Filadelfia. Ma questa conservata a Craiova, in Romania è il prototipo ed ha una semplicità più primitiva e sintetica. I due si saldano in un bacio labbra conto labbra, in un gesto di passione e di tenerezza. Le braccia con un andamento fluido completano questo allacciamento amoroso. È una scultura felice, che sprigiona un senso pieno di innamoramento. Di  desiderio fisico per l’altro, ma anche di fanciullesco imbambolamento sentimentale. («Ogni mia scultura ha la sua ragion d’essere in un’esperienza vissuta», diceva Brancusi). Gli occhi dei due sono puntati uno nella pupilla dell’altro per un faccia a faccia senza freni e palpitante. Ma la forza di Brancusi sta nel non cedere sulla china romantica, dei corpi che cercano la fusione (ricordate Isotta che sogna di togliere la “und”, la “e”, che la separa da Tristano? Sogno terrificante…). La divisione resta. I due restano due. E l’energia della scultura si gioca tutta nell’esprimere la reciproca, palpitante attrazione.
Ammoniva Brancusi: «Ne cherchez pas de mystères; je vous apporte la joie pure».

(anche ogni post ha la sua ragion d’essere in un’esperienza vissuta: questo è dedicato ovviamente ad Angela)

Sotto, altri baci di Brancusi  (a destra quello di Filadelfia)

Written by gfrangi

Febbraio 12th, 2011 at 1:56 pm

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Fontana, dove meno te lo aspetti

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Due belle mostre intelligenti e insolite dedicate a Lucio Fontana. Una a Mendrisio, l’altra a Genova. In preparazione alla visita, ecco un pensiero su Fontana che non ti aspetti (specie riferendosi a chi lo ha avuto)

«Quando Jackson Pollock faceva colare il colore dal pennello, ci sembrava che il mondo così come lo conoscevamo fosse cambiato per sempre. Lo stesso vale per Fontana, le sue aggressioni e le sue profanazioni da un lato si possono considerare infantili atti distruttivi e dall’altro un inno alla vita, esplosioni cosmiche o danza insolite ma stupende. Con le sue traiettorie nello spazio e nel tempo, Fontana parla al bambino che è dentro di noi, ci ricorda che per quanto complicata sia la nostra vita, ci salva la bellezza che si trova dove meno ce lo aspettiamo, e questo è l’importante perché come diceva Brancusi “quando non si è più bambini si è già morti”».

Sarebbe da fare un quiz sull’autore. Ma è troppo difficile e quel riferimento a Pollock spiazza dal punto di vista generazionale. È niente meno che Damien Hirst, un artista da gossip che ha uno sguardo intelligente come pochi sull’arte. Leggete il suo Manuale per giovani artisti.

Written by giuseppefrangi

Ottobre 29th, 2008 at 9:14 pm

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