Robe da chiodi

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Un altro modo di raccontar Testori

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La storia di un grande intellettuale è sempre una storia che si è nutrita di relazioni. Con una differenza rispetto alla norma: che un grande intellettuale sa reinventare queste relazioni. Ne fa qualcosa che è molto più della somma delle affinità. Trasfigura a volte i personaggi con cui entra in rapporto. Ne restituisce dei profili imprevisti ma sorprendentemente veri.
Ieri abbiamo provato a fare un’operazione di questo tipo su Giovanni Testori: con DanielaIuppa lo abbiamo raccontato attraverso la lente di dieci relazioni che sono state decisive nella sua biografia. Brevi narrazioni di rendez-vous del destino: appassionanti, liberi, a volte anche molto spregiudicati. Lo abbiamo fatto a Lugano, all’interno di LongLake Festival Lugano, grazie all’invito di Claudio Chiapparino. Siamo partiti da Jacopone per finire con Adriano Olivetti. In tutto dieci brevi storie di amicizia, fisica o culturale (che poi nel caso di Testori è lo stesso). Con Jacopone ad inizio della sua storia Testori s’imbeve di energia linguistica; un’energia che lo nutrirà e che riaffiorerà in modo carsico, mai uguale a se stessa, sino agli ultimi giorni. Di Olivetti sposa la dimensione civica della cultura: il testo del 1958 dedicato al tramezzo di Martino Spanzotti nella chiesa che Olivetti aveva inglobato nei recinti dell’azienda, è un capolavoro sotto il profilo critico, letterario ed editoriale. Un libro nato per nutrire la dimensione civile dell’oggi con una grande opera generata secoli fa da quello stesso territorio.
Sono relazioni spesso altalenanti, specie quella con Luchino Visconti. Che si chiude però con questo magnifico omaggio di Testori alla morte del regista: «L’ho conosciuto ai tempi di Rocco e i suoi fratelli, e per anni sono stato talmente suo amico che sono stato malissimo quando abbiamo litigato. Era meraviglioso come faceva recitare gli attori; meraviglioso come ti accoglieva a casa. Sembrava che arrivasse il re quando arrivavi tu. Ma poteva anche essere spietato. Forse la sua passione segreta era dominare e poi distruggere. Credo per infelicità. Non so. Comunque è passato e, quando è morto, ho fatto pubblica ammenda alla Scala. Volevano che parlassi alla commemorazione e io ho detto che avevo litigato con lui, che era finita male, e che gli chiedevo perdono».
Ci è piaciuto. È piaciuto. Certamente ripeteremo.

Written by gfrangi

Luglio 12th, 2017 at 9:08 am

Nuovissime su Testori

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autoritratto1942-collezione-ronchi

Bella giornata quella di sabato a Casa Testori: un rendez-vous di giovani studiosi della “materia” testoriana. Tantissimi gli spunti. Me ne sono segnati alcuni, in modo del tutto rapsodico. Mattia Patti ha portato il risultato delle sue ricerche sulle 103 lettere che il giovane Testori aveva scritto a Walter Ronchi, direttore di Pattuglia, la rivista universitaria del Guf di Forlì (nell’immagine sopra un autoritratto di Testori, inviato a Walter Ronchi, ora nella raccolta del figlio Rocco). Lettere che documentano l’intensità della collaborazione e l’attenzione a tutti i dettagli. Ma quello che emerge dall’approccio di Patti è la vivacità con cui queste riviste di “regime” riuscivano a garantirsi spazi imprevisti di libertà. Erano dei nodi di rete, ciascuno con le sue caratteristiche, collegati tra di loro, che permettevano l’emersione di esperienze, favorivano confronti, s’avventuravano nella presentazione di novità non propriamente “ortodosse”. Notevole l’intuizione di pubblicare nel 1942 un librettino con i disegni di Guernica, supplemento ad una rivista che doveva essere degli universitari fascisti…
Giuditta Fornari ha ricostruito la vicenda del ritrovamento delle Lombarde, testo teatrale scritto nel 1950, che Testori aveva affidato a Gianfranco De Bosio (27 anni, 25 l’altro…). Scritto in seguito alla tragedia dei 40 bambini morti nel naufragio di Albenga, è una prova di dramma corale, un modello che lo scrittore riprenderà solo alla fine degli 70. La lettera di accompagnamento è una sorpresa, per maturità e attualità: «È probabile che le tragedie non s’inventino, esistono; e il fatto tragico è tale in quanto accade e accadendo si brucia e si denuncia. La mia fobia per i “messaggi” che ben conosci, ha avuto finalmente ragione – e sono contento quanto più ha durato fatica – sui residui moralisti di cui spesso incrocio la verità delle situazioni che affronto. Un difetto, questo, molto comune nei cristiani».
Daniela Iuppa ha sviluppato, sulla situazione della peste, il rapporto tra Testori e Manzoni. Peste e Monaca di Monza sono le due situazioni su cui Testori, da figlio libero, va scavare. Due situazioni che Manzoni nella costruzione finale del romanzo aveva ritenuto di arginare per preservarne l’equilibrio letterario e anche morale. Testori si scosta e proprio su quelle sue situazioni va a lavorare, quelle situazioni che Giovanni Macchia definì l’ora buia del romanzo. Come accade nell’inedita Peste di Milano del 1975. Gli interessano le zone oscure di Manzoni, quelle messe prudenzialmente in un angolo. Ma sempre dentro un grande amore e un’infinita stima verso “quel padre”. La definizione più efficace di Daniela Iuppa, è che Testori in questo modo fa dei “fuori sentiero” manzoniani. Che però manzoniani restano. I padri vanno sempre riguadagnati attraverso il rischio di altri percorsi.
Sullo sfondo della giornata la voce impressionante, libera come quella di un’Edith Piaf, di Rina Morelli che Federica Mazzocchi ha fatto ascoltare raccontando le sue ricerche sull’Arialda. Una voce che è aleggiata nella sala, aggrappandosi al cuore e alla gola di tutti quelli che erano lì ad ascoltare.

Written by gfrangi

Dicembre 5th, 2016 at 7:32 am