Robe da chiodi

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Non chiudiamo Bacon nella gabbia esistenzialista

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Una mostra che sembra anche bella e fine, ma suggerisce un approccio sbagliato a Bacon. È quella che si è aperta alla Strozzina di Firenze, con curatori preparati e autorevoli e una selezione di opere di Bacon non scontate. È invece purtroppo molto scontato il tentativo di rinchiuderlo nella gabbia esistenzialista, circondandolo con una serie di epigoni contemporanei che mi sembra gli facciano più che altro il verso. Su Bacon perdura quest’equivoco che limita la vastità della sua esperienza: si continua a vederlo come se la sua pittura fosse la documentazione di processi di disfacimento, sino ad arrivare ad un vero strabismo che colpisce anche interpreti attentissimi: Marco Vallora sulla Stampa ad esempio parla di una pittura centrifuga (propria di dinamica di dissoluzione) mentre è assolutamente evidente che pochi artisti siano centripeti come Bacon. I suoi quadri hanno tutti un epicentro, che è insieme punto generativo delle forme e punto in cui le forme precipitano. È un fattore così esplicito, che Bacon a volte sente la necessità di rimarcarlo indicandolo con delle frecce inserite nella composizione. Bacon è un artista di un’irriducibilità biblica, quindi ciò che di più lontano si possa pensare da una temperie esistenzialista. È artista di certezze fisiche e feroci. Tra queste c’è quella che riguarda il corpo, anzi la carne dell’uomo. Bacon ne individua sempre il punto che sfugge ad ogni possesso, quel “luogo” in cui le fibre si generano avendo già in sé l’informazione della propria finitezza. Tutti i suoi quadri sono strategicamente costruiti per convergere su quel punto, in cui la pittura stessa assume una bellezza scandalosa, che come Bacon sempre rimarcava, era esito raggiunto ma fuori dal suo controllo. Una pittura che lì si fa insieme buio e splendore. Che registra il precipizio della creaturalità che generandosi porta già dentro l’implicito della propria morte. Nulla di pacifico, perché questo destino suscita scandalo, eccita alla lotta, incendia le forme. Ma tutto avviene dentro un ordine e una capacità di controllo del contesto che è misura della grandezza di Bacon; in un certo senso, di una sua struttura classica.
Bacon non è un pittore inquieto. È un pittore tragico, semmai. Che è cosa molto diversa. Perché l’inquietudine è un’esperienza di cui l’io resta in balìa, mentre il tragico è esperienza oggettiva in cui l’io è chiamato ad avere un’eroica lucidità. È per questo che il Bacon brutalizzatore dei corpi, alla fine sapeva ricomporli in forme di sconvolta ma assoluta bellezza?

Written by gfrangi

Ottobre 17th, 2012 at 9:56 pm