Robe da chiodi

Archive for the ‘Luca Santiago Mora’ tag

L’opera d’arte come liberazione. Quattro situazioni da vedere (o leggere)

leave a comment

A maggio con Vita abbiamo fatto (grazie al lavoro di Anna Spena, in particolare, e di Marta Cereda e Daniele Capra) una copertina che lanciava la domanda “L’arte può salvare il mondo?”. In scia allo spunto di quel numero, ho intercettato molte suggestioni che meritano, secondo me, di finire in un ideale taccuino, in vista di una continuazione di quel lavoro avviato. Ecco alcune di quelle suggestioni, molto libere e assolutamente trasversali.
*************************************************************************************************

animale

Uomini come cibo.
È geniale il tema che Luca Santiago Mora ha dato ai ragazzi del suo Atelier dell’Errore per il lavoro di quest’anno, ribaltando il tema dell’Expo, così come loro con le loro opere ribaltano qualsiasi gerarchia nella scala della produzione artistica. Come sempre negli Atelier che sono diventati tre (quello storico di Reggio, quello di Bergamo, e quello iniziato da quest’anno per gli allievi che hanno superato i 18 anni e che è stato ospitato alla Fondazione Maramotti di Reggio Emilia), soggetto unico sono gli animali. Animali fantastici, a cui i ragazzi assegnano nomi che meriterebbero un’antologia. Ma quest’anno il tema del mangiare gli uomini ha fatto scattare nella fantasia dei ragazzi una potenza inedita. A tratti davvero travolgente. La mostra apre il 18 giugno, sostenuta da Maramotti che ha sposato pienamente il progetto, in un palazzo centralissimo di Milano, in via Monte di Pietà, 23. Si tiene su cinque piani. Ho avuto la fortuna di vederla in anteprima. È assolutamente imperdibile. È la vita che torna ad occupare fisicamente la città. (nell’immagine: VendicatoreDiNotteCheDivorisceDeiCompagniDiClasseIoMiAvvicinoELoroSiAllontananoEDiconoChePuzzo)

***************************************************************************************************

Donatello
I tre Crocifissi di Donatello a Padova.
A proposito della relazione tra l’arte e la vita, nessuno probabilmente nel passato aveva capito il nesso meglio di Donatello. A Padova ho potuto vedere la mostra dei tre Crocifissi: quello celebre del Santo, affiancato da quello giovanile di Santa Croce e da quello ritrovato pochi anni fa, a Santa Maria dei Servi, sempre a Padova. Ci sono immagini da questa piccola mostra che non ci si toglie più dagli occhi. La prima: il perizoma di Cristo nel Crocifisso del Santo. Un piccolo straccio di bronzo disperatamente strappato da un vento che scuote la storia. La seconda: il ventre di Cristo, contratto nello spasmo della morte. Dal punto di vista plastico un pezzo di intensità drammatica con pochi paragoni. Bronzo sottoposto a contrazioni esplosive. Un punto di scontro di forze, tra la muscolatura dell’addome e la corona delle costole che sporgono in fuori con uno strappo doloroso.
La terza immagine: è relativa all’altro Crocifisso padovano, che è in legno, e che è stato recuperato eccezionalmente nella policromia originale. La linea del muscolo della coscia e il rossore del ginocchio sono di una verosimiglianza carnale che quasi domanda una carezza. La quarta immagine: il clamoroso retro di questo stesso Crocifisso che l’allestimento lascia giustamente libero. Il corpo di Cristo è completamente nudo, e schiena e natiche sono intagliate con una delicatezza che toglie il respiro. Ma come sempre quello che spiazza è la libertà di Donatello, che affronta l’iconografia senza retorica e senza moralismi (ovvero quando il cattolicesimo non aveva il complesso culturale del corpo e della carne…)

************************
Longhi e il senso dell’opera d’arte.
Letto il libricino con le Proposte per un critica d’arte di Roberto Longhi
(ed. Portatori d’acqua, con prefazione – bella – di Giorgio Agamben). A proposito della relazione tra Arte e vita, cito questo passaggio di Longhi: «È dunque il senso dell’apertura di rapporto che dà necessità alla risposta critica. Risposta che non involge soltanto il nesso tra opera e opere, ma tra opera e mondo, socialità, economia, religione, politica e quant’altro occorra. Qui è il fondo di un nuovo antiromanticismo illuminato, semantico, terebrante, analitico, empirico o quel che volete, purché non voglia svagare. L’opera d’arte è una liberazione, ma perché è una lacerazione di tessuti propri e alieni. Strappandosi non sale in cielo, resta nel mondo. Tutto perciò si può cercare in essa, purché sia l’opera ad avvertirci che bisogna andare a trovarlo, perché qualcosa ancora manca al suo pieno intendimento».

************************
Matisse e il suo maestro.
Sto leggendo L’intervista perduta di Matisse con Pierre Courthion.
È un libro a cui Matisse lavorò tanto e che alla fine non volle pubblicare. Oggi esce per l’editore che lo allora lo aveva (invano) commissionato, Skira. Matisse vi racconta ad esempio il suo rapporto con Gustave Moreau, suo maestro. «Per lavorare con Moreau bisognava avere talento e temperamento per tenergli testa. Mi ha strapazzato spesso. Mi diceva: “Lei semplifica troppo la pittura”. Ma duceva anche: “Non mi presti ascolto. Quel che dico non ha importanza. Un professore non è niente. Faccia quello che vuole, questa è la cosa principale. Tutto quello che fa mi piace più di quello che fanno altri e che non sgrido”». Così fa un vero maestro…

************************
Post scriptum: Visita di Alessandro Mendini a Casa Testori per la mostra su Bonvesin. Con lui anche Fabio Novembre. Bello il riconoscimento di un grande maestro come lui alla vitalità dei giovani illustratori. «Sono più avanti di noi designer», ha detto. Bel segno di libertà intellettuale.

Written by gfrangi

Giugno 14th, 2015 at 11:46 am

Un grande premio per Giulia Zini e l’Atelier dell’Errore

leave a comment

Giulia Zini disegna sul treno tornando da Monaco

Giulia Zini disegna sul treno tornando da Monaco

Giulia Zini, 18 anni, ha vinto l’Euward 6 a Monaco. È il più importante premio per l’outsider in Europa. Viene assegnato ogni quattro anni da una giuria che questa volta era presieduta da Arnulf Rainer. Giulia Zini è la star dell’Atelier dell’Errore, la straordinaria esperienza per ragazzi con disturbi mentali, guidata da Luca Santiago Mora. È la prima volta che il premio viene vinto da un italiano. Giulia l’avevamo conosciuta a Casa Testori in occasione di Giorni Felici 2014. Presentava uno straordinario disegno ed era in un video intitolato, pensate un po’, Vorrei essere Arnulf Rainer. C’è una qualità profonda nel lavoro di Giuliane più in generale nei ragazzi dell’Atelier, garantita dal metodo e da una disciplina che aiuta a non restare ostaggi delle ossessioni. Mi sembra che qui l’energia sia ben più che il frutto di un’istintività. C’è un qualcosa messo a fattor comune, che dà unità anche stilistica ai lavori, che li porta ben oltre il livello di una espressività ossessiva. È sorprendente infatti la capacità che Giulia ha ad esempio di “chiudere” i suoi disegni, di portarli a un compimento oltre il quale un segno sarebbe di troppo. C’è quindi il senso di un percorso, di un tentativo di spingersi fuori, di un’uscita da quel solipsismo in cui resta imbrigliata quasi sempre la cosiddetta “outsider art”.

Written by gfrangi

Novembre 23rd, 2014 at 11:16 pm

Le unghiate dell’Atelier dell’errore

leave a comment

Pirotoco San Pirotoco Salvatore dei Pirotoci
Una bella mostra-lampo a Milano è stata quella dell’Atelier dell’Errore allo spazio Marselleria: si tratta di un’esperienza nata nel 2003 come atelier di attività espressive per la Neuropsichiatria infantile dell’Ausl di Reggio Emilia da un’idea di Luca Santiago Mora. Oggi il progetto è sbarcato anche a Bergamo. Cos’ha di diverso questa esperienza rispetto alle tante esperienze di espressività scaturite da persone con problemi psichici? Mi sembra che qui l’energia sia ben più che frutto di un’istintività. C’è un qualcosa messo a fattor comune, che dà unità anche stilistica ai lavori, che li porta ben oltre il livello di una espressività ossessiva. È sorpendente infatti la capacità che i ragazzini (hanno dai 7 ai 16 anni) hanno di “chiudere” i loro disegni, di portarli a un compimento oltre il quale un segno sarebbe di troppo. Mi veniva il paragone con gli outsider che Gioni ha disseminato nella sua Biennale: ma lì dominava la ripetività dei motivi, un po’ come se fossero dischi creativi rotti. Ed erano sempre dei soliloqui. Qui invece cogli la sensazione di un percorso, di un tentativo di spingersi fuori, di un’uscita da quel solpsismo in cui erano imbrigliati quasi tutti gli outsider di Gioni, e di un tentativo quindi di spingere fuori quelle incredibili creature (sono tutti animali fantastici ricavati dai racconti di Ermanno Cavazzoni) immaginate. “In fuga dalla priogine della nostra immaginazione”, è stato il titolo scelto per la mostra, tratto dalla didascalia apposta da uno degli autori al suo lavoro. Sono meglio di Mario Merz, mi ha suggerito qualcuno. E in effetti…
In esergo all’home page dell’Atelier (guardatela, merita) c’è questo verso di Antonella Anedda: «Il disegno sarà semplice come unghiate di bestia sul tronco».

Nelle immagini. Sopra: Sante Carini, Pirotoco San Pirotoco Salvatore dei Pirotoci
Qui sotto: Matile e Sara, Remora Baianfantiticole

Remora Baianfantiticole

Written by gfrangi

Febbraio 12th, 2014 at 9:33 am