Robe da chiodi

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Lucien Freud a corpo morto

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Devo ammettere di aver sempre nutrito qualche riserva o qualche preconcetto sulla grandezza di Lucien Freud. Dopo aver visto la mostra parigina in corso al Beaubourg devo ricredermi. Ma il merito non è solo di Freud. Il merito è anche di chi ha concepito questa mostra senza lasciar spazio a compiacimenti. La mostra infatti è impostata concettualmente in modo molto preciso. L’atelier di Freud, questo è il titolo, diventa un luogo ruotando attorno al quale sono state costruite quattro sale che sono come quattro installazioni. Dentro una griglia così coerente la grandezza di Freud ce ne guadagna, buttando dietro le spalle i tic da pittore sin troppo abile e facendo emergere le strutture portanti della sua pittura. L’atelier è il luogo in cui tutto si consuma, in cui i pensieri si condensano e danno luogo a serie di opere percorse da uno stesso filo rosso. La prima sezione “Interieur exterieur”, per esempio ruota sul dentro e sul fuori, ma è il dentro quello che conta e che determina anche la visione del fuori. Il dentro è il luogo che permette concentrazione, conoscenza insistita, profondità di visione. Il fuori è tutt’al più quel che si vede dalla finestra, o nel cortile,  in un momento di alleggerimento della presa. La potenza è tutta nel dentro, nella confidenza che s’instaura con i suoi soggetti portati ogni volta ad uno stato di monumentale abbandono. L’ultima sala (“comme la chair”) è un’apoteosi di corpi assopiti, e quindi rapiti da Freud nel momento di massima grevità. Corpi che piombano, come a peso morto, dentro le sue tele. Visti nell’insieme hanno un che di formidabile, di epico. La loro è una passività trionfante. Non hanno bisogno di far nulla: il loro semplice lasciarsi andare è una vittoria.

Anche la pittura di Freud qui trova un punto di compimento vero; perché la sua oltranza (parola testoriana) non è più autolegittimazione, ma trova una ragione nell’oltranza della carne. È la carne a chiamare la pittura. E la pittura, ovviamente, non si fa negare. Ecco tre quadri dell’ultima sala.



Written by giuseppefrangi

Aprile 7th, 2010 at 12:01 am

Posted in moderni

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