Robe da chiodi

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Dondero l’angelo della fotografia

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Mario Dondero, Francis Bacon nello studio, 1961

Mario Dondero, Francis Bacon nello studio, 1961

Ieri è morto Mario Dondero, un grande fotografo, grande per il suo radicale antinarcisismo. Nel libro Electa pubblicato in occasione della grande mostra romana dello scorso anno c’era un breve intervento di Giorgio Agamben. Ve ne propongo un passaggio, per me straordinario.

Mario ha espresso una volta una certa distanza rispetto a due fotografi che pure ammira, Cartier-Bresson e Sebastião Salgado. Nel primo egli vede un eccesso di costruzione geometrica, nel secondo un eccesso di perfezione estetica. A entrambi oppone la sua concezione del volto umano come una storia da raccontare o una geografia da esplorare. Nello stesso senso anche per me l’esigenza che ci interpella dalle fotografie non ha nulla di estetico. È, piuttosto, un’esigenza di redenzione.
L’immagine fotografica è sempre più che un’immagine: è il luogo di uno scarto, di uno squarcio sublime fra il sensibile e l’intellegibile, fra la copia e la realtà, fra il ricordo e la speranza. A proposito della resurrezione della carne, i teologi cristiani si chiedevano, senza riuscire a trovare una risposta soddisfacente, se il corpo sarebbe risorto nella condizione in cui si trovava al momento della morte (magari vecchio, calvo e senza una gamba) o nell’integrità della giovinezza.
Origene tagliò corto a queste discussioni senza fine affermando che a risorgere non sarà il corpo, ma la sua figura, il suo eidos. La fotografia è, in questo senso, una profezia del corpo glorioso. È noto che Proust era ossessionato dalla fotografia e cercava con ogni mezzo di procurarsi le foto delle persone che amava e ammirava. Uno dei ragazzi di cui era innamorato quando aveva 22 anni, Edgar Auber, gli regalò, su sua insistente richiesta, il proprio ritratto. Sul verso della fotografia, scrisse in guisa di dedica: «Guarda il mio volto: il mio nome è Avrebbe Potuto Essere; mi chiamo anche Non Più, Troppo Tardi, Addio». La dedica è certamente pretenziosa, ma esprime perfettamente l’esigenza, così viva in ogni foto, di cogliere il reale che si sta perdendo per renderlo nuovamente possibile.
Di tutto questo la fotografia esige che ci si ricordi, di tutti questi nomi perduti le foto di Mario testimoniano, simili al libro della vita che il nuovo angelo apocalittico – l’angelo della fotografia – tiene fra le mani alla fine dei giorni, cioè ogni giorno.

Written by gfrangi

Dicembre 14th, 2015 at 2:07 pm

Pasolini a casa sua

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Mi ha commosso la visita alla tomba di Pasolini a Casarsa della Delizia. E ho scritto questo.
È evidente che quella tomba ripropone il tema del rapporto dolcissimo tra PPP e sua madre, Susanna Colussi, sepolta al suo fianco. Un rapporto ben reso dalla foto famosa di Mario Dondero (1972). E soprattutto dalle parole di padre Turoldo, pronunciate nella chiesa di Santa Croce a Casarsa, in occasione del funerale. Ne riporto un passaggio.

«Mamma, io ti parlo per lui che ha la bocca piena di sabbia e non ti può chiamare: ma ha tanto bisogno di te; come l’ha sempre avuto lungo la sua martoriata vita: una vita di povero friulano, solo, senza patria, senza pace. Eri tu la sua vera patria, il luogo della sua pace, il solo asilo sicuro. Tu che riassumevi per lui e per noi questa nostra terra, e la gente umile di cui si sentiva fratello; e il suo paese e la nostra storia di popolo «passato attraverso la lunga tribolazione». (….) E tu come madre di un emigrante ora lo riaccompagni al piccolo cimitero del paese. Così, avendo finito il tuo compito di angelo protettore di un figlio tanto fortunato e sfortunato insieme. (…) In fondo il tuo Pier Paolo, mamma, ha sempre vissuto con la morte dentro, se l’è portata in giro per il mondo lui stesso come suo fardello di emigrante, come suo carico fatale. Ora che l’ha raggiunta, è bene che ritorni anche lui a casa».

Davide Maria Turoldo, Alla mamma di Pier Paolo Pasolini, in Mia terra addio… Locusta, Vicenze, 1980

Written by gfrangi

Novembre 3rd, 2011 at 11:34 am