Robe da chiodi

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Moroni a Piccadilly Circus

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Ultimo weekend per la mostra di Moroni alla Royal Academy di Londra. I numeri dicono che è stato un successo, con 90mila visitatori. Nella metropoli globale, ipermulticulturale l’appordo di un maestro “incistato” nel fazzoletto di terra (o più precisamente, di provincia) che l’aveva visto nascere, poteva essere un azzardo. Invece Moroni ha attirato a sé e conquistato occhi così geneticamente lontani. È interessante capire che cosa quegli occhi abbiano visto nei suoi personaggi; probabilmente hanno intercettato substrati che il nostro occhio troppo affezionato, troppo sentimentalemente coinvolto, ci impedisce di cogliere. Purtroppo a Londra non ci siamo potuti andare ma l’amico Simone Facchinetti che ha curato la mostra ci ha fatto avere queste immagini dell’allestimento, scattate da Lidia Patelli. Immagini che sono pubblicate in un libretto
Moroni a Londra riepilogativo di questa straordinaria trasferta.

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Written by gfrangi

Gennaio 23rd, 2015 at 5:46 pm

Quel concentrato lombardo nel cuore della National Gallery

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I piedi dell'Angelo annunciante di Moretto. Ben piantati per terra


Una delle fortune del fatto che la mostra di Leonardo abbia un percorso accidentato con l’ultima sala sistemata dalla parte opposta della National Gallery, è che, anche un visitatore di fretta come’ero io, sia “costretto” a passare l’infilata delle sale del Rinascimento italiano. Sale straordinarie, tra le più belle per respiro, coerenza e livello delle opere che esistano al mondo. Quando le si passa in sequenza, alla fine si approda alla grande sala dei lombardi: e lì ogni volta per me è come un colpo al cuore. Primo, perché si ha la sensazione fisica di essere rientrati in casa. Secondo, perché ti accorgi che non c’è nessuna flessione rispetto ai nomi enormi delle sale che precedevano. Voglio presumere che Romanino, Moretto, Savoldo, Moroni e Lotto per quanto grandi valgano Tiziano? Evidentemente no, anche perché i Tiziano delle sale che precedevano sono cose da brividi. Ma quando entri nella sala dei lombardi scopri la tenuta di una visione omogenea, di una lingua comune, di un farsi coro pur nella diversità delle voci (anzi proprio per quello), che davvero conquista cuore e cervello. C’è il rimando dei grandi ritratti dei lombardi malinconici (il Martinengo di Moretto; l’aspirante Lucrezia di Lotto); o dei polittici che resistono ad oltranza senza apparire arcaici: Moretto vs Romanino, uno contro l’altro su pareti opposte. Il primo è intriso di umidità e di umori furiosi (il sant’Alessandro era il manifesto della grande mostra di Brescia che aveva fatto innamorare Pasolini), il secondo acceso di un incredibile cielo azzurro che attraversa tutte gli elementi del polittico e che sembra una vera sfida ai cieli perfetti e senza tempo del Rinascimento con la “R” maiuscola. Un cielo che è il nostro cielo, non un cielo “intellettualmente” lontano ma vicino, sotto il quale ci si sente a casa. E che dire della sfilata dei precursori della buona borghesia lombarda di Moroni? Gente all’opera come il suo sarto; gente dentro la storia, anzi dentro l’ora di una normale giornata. È una grandezza che sale dal basso e non stacca mai i piedi da terra.
Non sarà un caso che i grandi pianificatori della National si siano accorti di questa grandezza d’assieme e abbiano dato ai Lombardi la Central hall… Ecco tutti i quadri che vi sono esposti

L'incredibile Sant'Alessandro di Romanino. Capite perché avesse colpito Pasolini

Written by gfrangi

Dicembre 25th, 2011 at 11:40 am

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Trento, un museo sì e uno no

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Appunti da un viaggio lampo a Trento (ovvero come girando per musei si capisce una città, e non solo il suo passato).

• A Trento visita alla mostra di Andrea Pozzo (ci tornerò sopra). È ospitata nel museo diocesano: molto ben tenuto, coerente nel percorso e nella raccolta. È una full immersion in quell’imprescindibile evento che fu il Concilio di Trento. Si vedono gli arazzi con le storie di Cristo con cui era stato allestito il coro della Cattedrale dove stavano i padri conciliari. Ci sono immagini del concilio, alla fine si approda a una finestra che si affaccia a perpdendicolo proprio sul coro della Cattedrale. È un’esperienza che non si dimentica. (Poi in Cattedrale ci si ferma davanti al Crocefisso, manifattura norimberghese un po’ rozza, che in tutte le incisioni si vede sovrastare i padri conciliari; e per le strade di Trento c’è la sfilata dei palazzi stupendi da rinascimento alpino: in ognuno alloggiavano uno o più ospiti da novanta del dibattito conciliare: fa effetto pensare a tutte le teste pensanti della chiesa – e allora la chiesa era una miniera di teste pensanti – trasferirsi in blocco tra le montagne per discutere di dogmi e verità). Il Museo Diocesano ve lo raccomando.

• Vi raccomando meno il nuovissimo museo storico delle gallerie, ricavato da due gallerie della tangenziale dismessa. Un’idea che poteva essere formidabile (300 metri di doppio tunnel), ma che si è ridotto a autocelebrazione un po’ malinconica delle civilità trentina. Il tunnel bianco è ancora a destinazione un po’ indefintia; quelle nero invece accoglie Storicamente ABC. L’invenzione di un territorio. Mostra didattica e di esperienze umane, tutta retrospettiva. Ne viene l’impressione di una società chiusa. Di un’enclave dolce. Su mezzo milione di abitanti, la metà sono soci di cooperative: c’è da aggiungere che il 35% del prodotto interno della provincia passa per la politica. Insomma la sensazione di una comunità tranquilla, certamente solidale ma sotto controllo. Comunque, per stare a miei temi, dal punto di vista espositivo si poteva e si doveva osare di più. Ho in mente l’allestimento fatto da Studio Azzurro per i 150 anni  della battaglia di Magenta: ci voleva una cosa così.

• Infine omaggio al mio amato Moroni. Al Museo Diocesano c’è un suo quadro che mi ha sempre commosso. Una gigantesca Santa Chiara appoggiata a una balaustra fuori scala. La sua è una posa unica: come di una vecchia badessa che controvoglia si fosse messa in posa per il fotografo di paese. Con la sua sagoma domina tutta la tela, ed essendo vestita di grigio, potete ben pensare quale sia la dominante della tela. Mi colpisce la libertà che uno come Moroni si prendeva rispetto a un soggetto sacro: una libertà nel segno del vero. Me lo immagino pensare: “Meglio lasciare la fantasia a casa sua: se ci si appoggia sulla realtà è difficile sbagliare”.

Written by giuseppefrangi

Febbraio 21st, 2010 at 8:41 pm