Robe da chiodi

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Trento, un museo sì e uno no

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Appunti da un viaggio lampo a Trento (ovvero come girando per musei si capisce una città, e non solo il suo passato).

• A Trento visita alla mostra di Andrea Pozzo (ci tornerò sopra). È ospitata nel museo diocesano: molto ben tenuto, coerente nel percorso e nella raccolta. È una full immersion in quell’imprescindibile evento che fu il Concilio di Trento. Si vedono gli arazzi con le storie di Cristo con cui era stato allestito il coro della Cattedrale dove stavano i padri conciliari. Ci sono immagini del concilio, alla fine si approda a una finestra che si affaccia a perpdendicolo proprio sul coro della Cattedrale. È un’esperienza che non si dimentica. (Poi in Cattedrale ci si ferma davanti al Crocefisso, manifattura norimberghese un po’ rozza, che in tutte le incisioni si vede sovrastare i padri conciliari; e per le strade di Trento c’è la sfilata dei palazzi stupendi da rinascimento alpino: in ognuno alloggiavano uno o più ospiti da novanta del dibattito conciliare: fa effetto pensare a tutte le teste pensanti della chiesa – e allora la chiesa era una miniera di teste pensanti – trasferirsi in blocco tra le montagne per discutere di dogmi e verità). Il Museo Diocesano ve lo raccomando.

• Vi raccomando meno il nuovissimo museo storico delle gallerie, ricavato da due gallerie della tangenziale dismessa. Un’idea che poteva essere formidabile (300 metri di doppio tunnel), ma che si è ridotto a autocelebrazione un po’ malinconica delle civilità trentina. Il tunnel bianco è ancora a destinazione un po’ indefintia; quelle nero invece accoglie Storicamente ABC. L’invenzione di un territorio. Mostra didattica e di esperienze umane, tutta retrospettiva. Ne viene l’impressione di una società chiusa. Di un’enclave dolce. Su mezzo milione di abitanti, la metà sono soci di cooperative: c’è da aggiungere che il 35% del prodotto interno della provincia passa per la politica. Insomma la sensazione di una comunità tranquilla, certamente solidale ma sotto controllo. Comunque, per stare a miei temi, dal punto di vista espositivo si poteva e si doveva osare di più. Ho in mente l’allestimento fatto da Studio Azzurro per i 150 anni  della battaglia di Magenta: ci voleva una cosa così.

• Infine omaggio al mio amato Moroni. Al Museo Diocesano c’è un suo quadro che mi ha sempre commosso. Una gigantesca Santa Chiara appoggiata a una balaustra fuori scala. La sua è una posa unica: come di una vecchia badessa che controvoglia si fosse messa in posa per il fotografo di paese. Con la sua sagoma domina tutta la tela, ed essendo vestita di grigio, potete ben pensare quale sia la dominante della tela. Mi colpisce la libertà che uno come Moroni si prendeva rispetto a un soggetto sacro: una libertà nel segno del vero. Me lo immagino pensare: “Meglio lasciare la fantasia a casa sua: se ci si appoggia sulla realtà è difficile sbagliare”.

Written by giuseppefrangi

Febbraio 21st, 2010 at 8:41 pm